Ricorso  della  Provincia  autonoma   di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona  del  Presidente  della  Giunta  provinciale
pro-tempore  Lorenzo  Dellai,  autorizzato  con  deliberazione  della
Giunta  provinciale  n.  1002  di  data  18  maggio  2012  (doc.  1),
rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27740 del 21
maggio 2012 (doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu,  Ufficiale
rogante della Provincia, dall'avv. prof.  Giandomenico  Falcon  (cod.
fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod.
fisc. PDRNCL56R010428C) dell'Avvocatura della Provincia di  Trento  e
dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  MNZLGU34E15H501Y)  di  Roma,  con
domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via  Confalonieri,
n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        dell'articolo 17, comma 4, lettera c); 
        dell'articolo 35, comma 4; 
    del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1,  recante  "Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo  delle  infrastrutture  e  la
competitivitita'", come convertito, con modificazioni, nella legge 24
marzo 2012, n. 27, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53/L  alla
G.U. n. 71 del 24 marzo 2012, 
    Per violazione: 
        dell'articolo 8, n. 1), dell'articolo 9, n. 3); dell'articolo
16 del decreto del Presidente della Repubblica  31  agosto  1972,  n.
670; 
        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli
articoli 70, 75 e 79; nonche' degli  articoli  103,  104  e  107  del
medesimo Statuto speciale; 
        del decreto del Presidente della Repubblica 31  luglio  1978,
n. 1017; 
        dell'articolo 15 del decreto del Presidente della  Repubblica
19 novembre 1987, n. 526, ed in particolare dell'articolo 15; 
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266; 
        del  decreto  legislativo  16  marzo  1992,  n.  268,  ed  in
particolare degli articoli 9, 10 e 10 bis; 
        per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    Il d.l. 1/2012, come risultante dalla  legge  di  conversione  n.
27/2012,    contiene     disposizioni     eterogenee,     distribuite
rispettivamente  nel  TITOLO   I   (Concorrenza),   nel   TITOLO   II
(Infrastrutture) e nel TITOLO  III  (Europa),  volte  a  favorire  la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita' del
Paese. 
    Nell'ambito delle predette disposizioni si collocano alcune norme
che si collegano a precedenti disposizioni  statali,  rispettivamente
contenute nel d.l. n. 98 del 2011 e nel d.l. n. 201  del  2011,  gia'
oggetto di impugnazione da parte di questa Provincia (rispettivamente
con ricorso n. 97, dep. il 21 settembre 2011 e  n.  34,  dep.  il  28
febbraio 2012). 
    In particolare, l'art. 17, co. 4, lett. c), modifica testualmente
l'art.  28  d.l.  98/2011  in  materia  di  rete   distributiva   dei
carburanti, aggiungendo nel comma  4  dello  stesso  articolo  28  il
seguente periodo: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni o
proroghe    di    autorizzazioni    relativamente    agli    impianti
incompatibili"). Come detto, l'articolo 28, co. 3 e 4, del d.l. n. 98
del 2011 e' stato gia' impugnato dalla Provincia autonoma di Trento. 
    L'art. 35, co. 4, per parte sua, incrementa  "in  relazione  alle
maggiori entrate rivenienti nei territori  delle  autonomie  speciali
dagli incrementi delle aliquote dell'accisa  sull'energia  elettrica"
il "concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome di Trento e  Bolzano  previsto  dall'articolo
28, comma 3, primo periodo del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.
201". Anche l'articolo 28, co. 3, del d.l. n. 201 del 2011  e'  stato
impugnato dalla Provincia autonoma di Trento. 
    Le due disposizioni del d.l. n.  1  del  2012  cosi'  individuate
presentano dunque profili di lesivita' delle competenze provinciali e
di illegittimita' costituzionale analoghi a  quelli  evidenziati  nei
precedenti  ricorsi.  E'vero  che  -  trattandosi   di   disposizioni
modificative o integrative - le auspicate pronunce  su  tali  ricorsi
riverbererebbero i loro effetti anche  su  tali  nuove  disposizioni.
Tuttavia, per completezza  argomentativa  ed  espositiva  ritiene  la
ricorrente Provincia di portare anche tali  nuove  disposizioni  alla
diretta attenzione di codesta ecc.ma Corte costituzionale. 
    In effetti, ad avviso della  Provincia  autonoma  di  Trento,  le
disposizioni succitate risultano  lesive  delle  proprie  prerogative
costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 17, comma  4,  lettera
c). 
    Come esposto in narrativa, la lettera c) del co. 4  dell'articolo
17 modifica testualmente il comma 4 dell'art.  28  del  d.l.  98/2011
aggiungendo  un  ulteriore  periodo  nell'ambito   della   disciplina
relativa alla rete distributiva dei  carburanti,  per  effetto  della
quale: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni  o  proroghe
di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili». 
    Anche la modifica del comma 4 dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del
2011  interviene  nella  materia   del   commercio,   di   competenza
legislativa provinciale, fissando regole, ed  imponendo  direttamente
ai Comuni un'attivita' amministrativa puntuale (meglio  un  limite  a
tale attivita'), senza che  l'intervento  legislativo  statale  trovi
alcuna giustificazione o fondamento costituzionale. 
    La  potesta'   normativa   ed   amministrava   provinciale   sono
riconducibili  infatti   agli   ambiti   di   competenza   statutaria
concorrente (articolo 9, n. 3) e 16, dello Statuto speciale),  a  cui
si e' aggiunta - solo per la parte in cui e' maggiore - la competenza
residuale di cui al comma 4 dell'articolo 117 Cost. 
    Nella materia,  la  potesta'  legislativa  provinciale  e'  stata
ripetutamente esercitata, da ultimo con la legge 30 luglio  2010,  n.
17  (Disciplina  dell'attivita'  commerciale),  che  al  Capo  IV  ha
definito  una  normativa  dettagliata  relativa  ai  distributori  di
carburante, autosufficiente e del tutto indipendente da tale decreto. 
    Come gia' contestato, sia in relazione al comma 3 che al comma  4
dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del 2011,  va  poi  sottolineato  che
sono  illegittime  le  disposizioni   statali   che   pretendono   di
disciplinare la materia prescrivendo  direttamente  comportamenti  ai
Comuni, o fissando a questi limitazioni. 
    E' pacifico che in materia di competenza legislativa  provinciale
i vincoli eventualmente desumibili  dalla  legislazione  statale  non
operano comunque in via diretta, ma determinano solo  un  obbligo  di
adeguamento, come espressamente sancito dall'articolo 2, comma 1,  d.
lgs. 266/1992, mentre - nelle  more  dell'adeguamento  provinciale  -
rimangono in vigore le disposizioni locali (ed  in  caso  di  mancato
adeguamento lo Stato puo' impugnare  nei  sei  mesi  la  legislazione
provinciale). 
    Inoltre, le funzioni amministrative in materia  non  possono  poi
essere attribuite o  distribuite  dallo  Stato,  essendo  il  compito
riservato alla Provincia dall'articolo 16 Statuto e  dalle  norme  di
attuazione: le quali espressamente confermano che  nelle  materie  di
competenza spetta comunque alla Provincia trasferire  ai  Comuni  del
territorio - conformandole - le  funzioni  amministrative  che  leggi
generali  della  Repubblica,  nella  restante  parte  del  territorio
nazionale, attribuiscano ai minori enti locali  (cfr.  l'articolo  15
del d.P.R. 19 novembre 1987, n.  526,  di  "estensione  alla  Regione
Trentino - Alto Adige ed  alle  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano  delle  disposizioni  del  decreto   del   Presidente   della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616"). 
    La legislazione provinciale ha  poi  applicato  il  principio  di
sussidiarieta' ed adeguatezza conferendo le  funzioni  autorizzazione
degli impianti alla stessa  Provincia,  mentre  i  comuni  sono  solo
destinatari delle relative comunicazioni (articolo 36). 
    Ovviamente, cosi'  come  le  eventuali  chiusure  degli  impianti
devono essere disposte dalla Provincia, lo stesso vale per le ipotesi
relative al divieto di rilascio di  nuove  autorizzazioni  o  per  il
rilascio  di  proroghe  di  autorizzazioni  relative  agli   impianti
incompatibili. 
    E' dunque palesemente illegittima una normativa statale  -  quale
quella introdotta dalla lettera c) del  comma  4,  dell'art.  17  qui
impugnata  -  che  direttamente  impone  ai  comuni  un  divieto   di
rilasciare ulteriori  autorizzazioni  o  proroghe  di  autorizzazioni
relativamente agli impianti incompatibili. 
    Ne consegue che il comma 4 dell'articolo 28 del decreto-legge  n.
98  del  2011,  come  modificato  dalla  lettera  c)  del   comma   4
dell'articolo 17 del decreto legge n. l del 2012, nella parte in  cui
impone attivita' amministrativa ai comuni del territorio  provinciale
o limitazioni all'attivita' amministrativa, si pone in contrasto  con
l'articolo 9, n. 3), e con l'articolo 16 dello  Statuto  speciale,  e
con le correlative norme di attuazione, tra le quali il  decreto  del
Presidente della  Repubblica  31  luglio  1978,  n.  1017  (Norme  di
attuazione dello Statuto speciale della regione  Trentino-Alto  Adige
in materia di artigianato, incremento della  produzione  industriale,
cave e torbiere,  commercio,  fiere  e  mercati)  e  il  decreto  del
Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla
Regione Trentino - Alto Adige ed alle Province autonome di  Trento  e
di Bolzano  delle  disposizioni  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), che all'articolo 15  dispone  che
le  funzioni  amministrative  che  le  leggi  generali  dello   Stato
conferiscono ai comuni debbono intendersi conferite anche  ai  comuni
delle Province autonome,  qualora  non  rientrino  nelle  materie  di
competenza provinciale e che al trasferimento ai comuni  di  funzioni
amministrative rientranti nelle materie di competenza provinciale  si
provvede con legge provinciale. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 4. 
    Il comma 4 dell'articolo 35 e' diretto ad assicurare al  bilancio
statale entrate pari a 235 milioni di  euro  annui  a  decorrere  dal
2012, che ai  sensi  del  comma  3  dell'articolo  35  devono  essere
destinate all'estinzione dei debiti pregressi  delle  amministrazioni
statali. 
    Alla predetta finalita' si provvede, secondo il comma 4,  con  le
maggiori entrate rivenienti nei territori  delle  autonomie  speciali
dagli incrementi delle aliquote  dell'accisa  sull'energia  elettrica
disposti dai decreti del Ministro dell'Economia e delle  Finanze  del
30 dicembre  2011,  concernenti  l'aumento  dell'accisa  sull'energia
elettrica    a    seguito    della    cessazione    dell'applicazione
dell'addizionale  comunale  e  provinciale  all'accisa   sull'energia
elettrica; secondo il predetto comma 4 in relazione a  tali  maggiori
entrate  il  concorso  previsto  dall'articolo  28,  comma   3,   del
decreto-legge n. 201/2011, e' incrementato di  235  milioni  di  euro
annui a decorrere dall'anno 2012 e la quota di maggior gettito pari a
6,4 milioni di euro annui a decorrere dal 2012  derivante  all'erario
dai decreti di  cui  alla  stessa  disposizione  resta  acquisita  al
bilancio dello Stato. 
    Il predetto comma 3 dell'articolo 28 del decreto-legge n. 201 del
2011, richiamato dalla norma in epigrafe -  che,  come  avvertito  in
narrativa, e' stato gia' impugnato da  questa  Provincia  autonoma  -
prevede un concorso alla finanza pubblica delle autonomie speciali  e
degli enti locali appartenenti a quelle che esercitano le funzioni in
materia di finanza locale nella misura ivi indicata  (rispettivamente
860 milioni di euro e 60  milioni  di  euro)  da  stabilirsi  con  le
procedure previste dall'articolo 27, della legge n. 42  del  2009,  a
decorrere dall'anno  2012.  E  la  stessa  norma  prevede  che,  fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui all'articolo 27 della
legge  n.  42  del  2009,  il  predetto   importo   complessivo   sia
accantonato,  proporzionalmente  alla  media  degli  impegni   finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio  2007-2009,  a  valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. 
    Il comma 4 dell'articolo 35, in quanto diretto  ad  ulteriormente
incrementare il concorso  delle  autonomie  speciali  al  risanamento
della finanza pubblica, senza il preventivo e necessario  momento  di
confronto e di intesa con lo Stato, appare illegittimo e  lesivo  per
le stesse ragioni gia' evidenziate con riferimento  e  nei  confronti
dell'articolo 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011:  si  tratta,  in
definitiva,  della  stessa   disposizione,   che   ora   viene   solo
incrementata nella sua misura. 
    Tuttavia, per rispetto  del  principio  di  completezza  di  ogni
singolo ricorso, si rinnovano qui tali motivi, con  l'avvertenza  che
essi riproducono quelli  gia'  proposti,  salvo  ora  il  riferimento
specifico all'art. 35, comma 4: 
        Siamo,  dunque,  di  fronte  ad   una   ulteriore   rilevante
sottrazione di risorse alle  Regioni  speciali,  che  si  aggiunge  a
quelli previsti dall'art. 14 di. 78/2010, dall'art. 20,  co.  5,  di.
98/2011 e dall'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011. In piu', viene  disposto
un taglio di risorse anche a carico degli  enti  locali  situati  nei
territori delle autonomie speciali dotate di competenza in materia di
finanza locale. Quest'ultimo taglio, in realta', incide  in  sostanza
sempre sulla Provincia, come risulta dal terzo periodo del comma 3  e
dall'art. 81, co. 2, St.,  che  vincola  la  Provincia  a  finanziare
adeguatamente i comuni (esso  dispone  infitti  che  "allo  scopo  di
adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento  delle  finalita'  e
all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi,  le  province  di
Trento e di Bolzano corrispondono  ai  consumi  stessi  idonei  mezzi
finanziari, da concordare fra il Presidente della relativa  Provincia
ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni"). Comunque,  in
base alla giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a
difendere davanti alla Corte anche l'autonomia finanziaria dei comuni
(v. sentt. 298/2009, 278/10, punto 14.1, 169/2007, punto 3,  95/2007,
417/2005, 196/2004, 533/2002). 
    Tale sottrazione di risorse non ha  alcuna  base  statutaria.  Al
contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal  fondamentale
art. 75,  sono  rivolte  ad  assicurare  alla  Provincia  le  finanze
necessarie  all'esercizio  delle  funzioni:  ed  e'  chiaro  che   la
devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi
nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla
legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per
di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa. 
    Per di piu', come gia' piu'  volte  ricordato,  l'art.  79  dello
Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso,  esaustivo  ed
esclusivo le regole  secondo  le  quali  le  Province  assolvono  gli
"obblighi   di   carattere   finanziario    posti    dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa
- tali  regole  "possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la
procedura prevista  dall'articolo  104  ",  mentre  "fino  alla  loro
eventuale modificazione costituiscono il concorso agli  obiettivi  di
finanza pubblica di cui  al  comma  1"  (comma  2).  Ed  il  comma  4
ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione  degli
obiettivi  di  perequazione  e   di   solidarieta'...   non   trovano
applicazione con riferimento alla regione e alle province e  sono  in
ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". 
    Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri
di coordinamento finanziario con riferimento agli  enti  locali,  nel
quadro della generale competenza legislativa provinciale  in  materia
di finanza locale prevista dall'art. 80 St.  Nell'esercizio  di  tale
competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art.  3  dispone
tra  l'altro  che  "in  sede  di  definizione  dell'accordo  previsto
dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono  stabilite,  oltre  alla
quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai  comuni  e  agli
altri enti locali, le misure necessarie a garantire il  coordinamento
della  finanza  comunale  e  quella  provinciale,   con   particolare
riferimento alle misure  previste  dalla  legge  finanziaria  per  il
perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati  al
patto di stabilita' interno. 
    Con le disposizioni statutarie sopra ricordate  l'impugnato  art.
35, comma 4. si pone in insanabile conflitto. 
    Le  risorse  spettanti  alla   Provincia   non   possono   essere
semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia  stessa  e
gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica  nei
modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati
dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un  regime  speciale,  che
non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto  nella  giurisprudenza  costituzionale:  v.  le   sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. 
    Non puo' ingannare il  rinvio  alle  norme  di  attuazione  dello
Statuto. 
    In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa  delle  norme
di attuazione e'  gia'  autonomamente  lesivo,  traducendosi  in  una
sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al  di  fuori
delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79. 
    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art.
79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art.  104  St.  e
non in sede  di  attuazione.  In  terzo  luogo,  l'art.  35,  co.  4,
determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme  di
attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare
fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle  norme  di  attuazione.
l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a  valere  sulle
quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione
delle  risorse  e'  operata  direttamente   e   unilateralmente   dal
legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con  il  principio
consensuale che domina i rapporti tra Stato  e  Regioni  speciali  in
materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). 
    In definitiva, come detto, l'art. 35, co. 4, viola l'art. 79 St.,
co. 1, 2, e 4, primo periodo, perche' i  modi  in  cui  la  Provincia
concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono
fissati direttamente dallo stesso art.  79  o  vanno  concordati  tra
Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79. 
    Il fatto che l'art. 35, comma  4,  determini  un  incremento  del
fondo di cui all'art. 28, co. 3, fa si' che - ovviamente - anche  per
tale incremento valgano tutte le regole gia' contestate in  relazione
a tale disposizione. 
    Tuttavia, poiche' la lesivita' e l'illegittimita'  costituzionale
di tali meccanismi non dipende in se' dal rinvio,  ma  dal  contenuto
della disposizione alla quale si rinvia, per questa parte non occorre
formulare qui autonome censure, automaticamente operando quelle  gia'
proposte nel ricorso avverso l'art. 28, comma 3, del decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22  dicembre  2011,  n.
214. 
    Anche la nuova disposizione dell'art. 35, comma 4, stabilisce che
"la quota di maggior gettito pari a 6,4 milioni annui a decorrere dal
2012 derivante all'Erario dai decreti di cui al presente comma  resta
acquisita  al  bilancio   dello   Stato".   Trattasi   della   stessa
disposizione gia' contestata in relazione al d.l. n. 201 del 2011,  e
dunque di disposizione che risulterebbe in  ogni  modo  travolta,  in
quanto illegittimita' costituzionale  consequenziale,  dall'auspicata
declaratoria di illegittimita' resa in relazione a tale decreto. 
    In ogni modo, valgono anche in relazione  alla  disposizione  ora
citata le seguenti censure. 
    L'art. 79 dello Statuto, che - come visto  -  definisce  in  modo
preciso ed esaustivo le modalita'  con  cui  le  Province  concorrono
"all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale" (co. 1), e aggiunge che "le misure di cui al comma
1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura  prevista
dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1" (co. 2), e che, "al fine di assicurare il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio
da conseguire in ciascun periodo" (co. 3). 
    Sia il comma 3 (" Non si applicano  le  misure  adottate  per  le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale")  che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle
norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. 
    Proprio perche' agli artt. 75 e 79 St. si  e'  derogato  con  una
fonte primaria "ordinaria" (in realta', un d.l.  convertito),  l'art.
35, comma 4, viola anche gli artt. 103 (che prevede  il  procedimento
di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che
prevede la possibilita' di modificare "le norme del titolo VI...  con
legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e,  per
quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province")
e l'art. 107 (che disciplina la  speciale  procedura  per  l'adozione
delle norme di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. 
    In  quanto  connessa  al  disposto  incremento   delle   aliquote
dell'accisa  sull'energia  elettrica  a  seguito   della   cessazione
dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale  all'accisa
sull'energia elettrica, la disposizione che  riserva  allo  Stato  le
maggiori entrate rivenienti nei territori delle  autonomie  speciali,
viola altresi' l'articolo  70  dello  Statuto  speciale  che  devolve
integralmente  alle  province  autonome  il   provento   dell'imposta
erariale, riscossa nei rispettivi territori,  sull'energia  elettrica
ivi consumata. 
    Qualora la disposizione statale fosse da ricondursi alle  ipotesi
di riserva all'erario, in relazione ed in  connessione  agli  effetti
finanziari derivanti dall'aumento delle  aliquote  delle  accise,  la
disposizione si pone  altresi'  in  contrasto  con  la  normativa  di
attuazione statutaria contenuta  nel  decreto  legislativo  16  marzo
1992, n. 268 (Norme di  attuazione  dello  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza  regionale  e  provinciale)
che disciplina la riserva all'erario (articoli 9, 10 e 10-bis). 
    Ne' e' infatti possibile sostenere che  la  norma  censurata  sia
giustificata in virtu' del  d.  lgs.  268/1992.  Essa,  infatti,  non
rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d. lgs.  268/1992  per
la riserva all'erario del  "gettito  derivante  da  maggiorazioni  di
aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi".  Tali  requisiti  sono
stati sintetizzati dalla  sentenza  di  codesta  Corte  n.  182/2010,
secondo la quale "tale articolo richiede, per la  legittimita'  della
riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita'
diverse da quelle di cui al  comma  6  dell'art.  10 e  al  comma  1,
lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992,  e
cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli  obiettivi
di riequilibrio della finanza pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto
dalla copertura di «spese  derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni
statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b);  b)
il  gettito  sia  destinato  per  legge  «alla  copertura,  ai  sensi
dell'art.  81  della  Costituzione,  di  nuove  specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali»;  c)  il  gettito  sia  «temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile»". 
    L'assenza  di  tali  requisiti  e'  evidente   nel   caso   della
maggiorazione di aliquote dell'accisa  sull'energia  elettrica,  dato
che manca la destinazione a "nuove specifiche spese di carattere  non
continuativo", la delimitazione temporale e la contabilita' distinta,
essendo la norma finalizzata, alla copertura degli oneri  individuati
nei co. 1 e 3 dell'art. 35 del d.l. n. 1 del 2012. 
    Escluso che la norma possa trovare fondamento nell'art. 9 d. lgs.
268/1992, e' anche da escludere che essa possa ricondursi all'art. 10
e all'art. 10-bis del medesimo decreto. 
    In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la
somma spettante in base ad esso (v. anche l'art.  79,  co.  1,  St.),
sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale
l'art. 10 d. lgs. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10,  co.  6,
strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due
punti  del  comma  6)  relativo  alla  determinazione   della   quota
variabile, ora soppressa. 
    Inoltre, l'art. 10, co. 6, prevedeva  un  meccanismo  consensuale
per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica" che e' stato ora  sostituito  da
quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo
profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79,
co. 4, secondo cui "le disposizioni statali  relative  all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo". 
    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art.
10, co. 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere  che  la  determinazione
della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il  principio
di leale collaborazione e, in particolare, il  principio  consensuale
che domina le  relazioni  finanziarie  fra  lo  Stato  e  le  Regioni
speciali. In  altre  parole,  anche  venuto  meno  l'accordo  per  la
determinazione della quota variabile, lo  Stato  avrebbe  pur  sempre
dovuto cercare l'accordo con la  Provincia  di  Trento,  non  potendo
unilateralmente alterare le  regole  sulle  compartecipazioni  e  gli
strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento  finanziario,
disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. 
    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. 
    Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha  riconosciuto  che  "la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  per  la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione" della "speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le  predette  Regioni,
in forza dei loro statuti" (punto 6 del Diritto); e  nella  sent.  n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in  tutte  le  leggi
finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo
Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». 
    Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva  unilateralmente  modificato  l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che  "il
legislatore  statale  ben  potrebbe  intervenire,  se  lo   ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia:  ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo  aver  sentito  la  Regione  (art.  65
Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati  rapporti  coll'Ente
Regione". 
    Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme  legislative  statali  che  disponevano  la
riserva  a  favore  dell'erario  delle  entrate  derivanti  da  altre
disposizioni e che erano  contestate  per  violazione  dello  Statuto
siciliano  e  delle  relative  norme  di  attuazione.  La  Corte   ha
riconosciuto l'esistenza del "principio... di leale cooperazione  fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze  fra
le  rispettive  sfere  e  i  rispettivi  ambiti  finanziari",  e   ha
sottolineato che "sono espressioni significative di tale esigenza  le
norme di attuazione di  altri  statuti  speciali,  le  quali,  a  tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate  a  partecipare
le Regioni". La Corte ha, dunque, statuito  che  le  norme  impugnate
dovevano prevedere "procedimenti non unilaterali, ma che  contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata". 
    Il principio consensuale e' stato ribadito piu'  di  recente,  in
relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dalla  sent.  133/2010.   La
Provincia aveva impugnato l'art.  9bis,  co.  5,  d.l.  78/2009,  che
attribuiva al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  potere  di
fissare «i criteri per la  rideterminazione,  a  decorrere  dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e  province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle  regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi' compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti  finanziari  intercorrenti  tra  lo
Stato, la Regione e le Province autonome,  e  che  "pertanto  avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato  art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto  il  necessario  accordo
preventivo di Stato e Regione". 
    In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con  una
fonte primaria unilateralmente adottata,  alteri  in  modo  rilevante
l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia,  laddove  il
principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa  materia  ed
e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria.