Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc. 00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 1002 di data 18 maggio 2012 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27740 del 21 maggio 2012 (doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc. FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc. PDRNCL56R010428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. MNZLGU34E15H501Y) di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'articolo 17, comma 4, lettera c); dell'articolo 35, comma 4; del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivitita'", come convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53/L alla G.U. n. 71 del 24 marzo 2012, Per violazione: dell'articolo 8, n. 1), dell'articolo 9, n. 3); dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670; del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare degli articoli 70, 75 e 79; nonche' degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017; dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526, ed in particolare dell'articolo 15; del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266; del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, ed in particolare degli articoli 9, 10 e 10 bis; per i profili di seguito illustrati. Fatto Il d.l. 1/2012, come risultante dalla legge di conversione n. 27/2012, contiene disposizioni eterogenee, distribuite rispettivamente nel TITOLO I (Concorrenza), nel TITOLO II (Infrastrutture) e nel TITOLO III (Europa), volte a favorire la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita' del Paese. Nell'ambito delle predette disposizioni si collocano alcune norme che si collegano a precedenti disposizioni statali, rispettivamente contenute nel d.l. n. 98 del 2011 e nel d.l. n. 201 del 2011, gia' oggetto di impugnazione da parte di questa Provincia (rispettivamente con ricorso n. 97, dep. il 21 settembre 2011 e n. 34, dep. il 28 febbraio 2012). In particolare, l'art. 17, co. 4, lett. c), modifica testualmente l'art. 28 d.l. 98/2011 in materia di rete distributiva dei carburanti, aggiungendo nel comma 4 dello stesso articolo 28 il seguente periodo: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni o proroghe di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili"). Come detto, l'articolo 28, co. 3 e 4, del d.l. n. 98 del 2011 e' stato gia' impugnato dalla Provincia autonoma di Trento. L'art. 35, co. 4, per parte sua, incrementa "in relazione alle maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali dagli incrementi delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica" il "concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano previsto dall'articolo 28, comma 3, primo periodo del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201". Anche l'articolo 28, co. 3, del d.l. n. 201 del 2011 e' stato impugnato dalla Provincia autonoma di Trento. Le due disposizioni del d.l. n. 1 del 2012 cosi' individuate presentano dunque profili di lesivita' delle competenze provinciali e di illegittimita' costituzionale analoghi a quelli evidenziati nei precedenti ricorsi. E'vero che - trattandosi di disposizioni modificative o integrative - le auspicate pronunce su tali ricorsi riverbererebbero i loro effetti anche su tali nuove disposizioni. Tuttavia, per completezza argomentativa ed espositiva ritiene la ricorrente Provincia di portare anche tali nuove disposizioni alla diretta attenzione di codesta ecc.ma Corte costituzionale. In effetti, ad avviso della Provincia autonoma di Trento, le disposizioni succitate risultano lesive delle proprie prerogative costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 17, comma 4, lettera c). Come esposto in narrativa, la lettera c) del co. 4 dell'articolo 17 modifica testualmente il comma 4 dell'art. 28 del d.l. 98/2011 aggiungendo un ulteriore periodo nell'ambito della disciplina relativa alla rete distributiva dei carburanti, per effetto della quale: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni o proroghe di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili». Anche la modifica del comma 4 dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del 2011 interviene nella materia del commercio, di competenza legislativa provinciale, fissando regole, ed imponendo direttamente ai Comuni un'attivita' amministrativa puntuale (meglio un limite a tale attivita'), senza che l'intervento legislativo statale trovi alcuna giustificazione o fondamento costituzionale. La potesta' normativa ed amministrava provinciale sono riconducibili infatti agli ambiti di competenza statutaria concorrente (articolo 9, n. 3) e 16, dello Statuto speciale), a cui si e' aggiunta - solo per la parte in cui e' maggiore - la competenza residuale di cui al comma 4 dell'articolo 117 Cost. Nella materia, la potesta' legislativa provinciale e' stata ripetutamente esercitata, da ultimo con la legge 30 luglio 2010, n. 17 (Disciplina dell'attivita' commerciale), che al Capo IV ha definito una normativa dettagliata relativa ai distributori di carburante, autosufficiente e del tutto indipendente da tale decreto. Come gia' contestato, sia in relazione al comma 3 che al comma 4 dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del 2011, va poi sottolineato che sono illegittime le disposizioni statali che pretendono di disciplinare la materia prescrivendo direttamente comportamenti ai Comuni, o fissando a questi limitazioni. E' pacifico che in materia di competenza legislativa provinciale i vincoli eventualmente desumibili dalla legislazione statale non operano comunque in via diretta, ma determinano solo un obbligo di adeguamento, come espressamente sancito dall'articolo 2, comma 1, d. lgs. 266/1992, mentre - nelle more dell'adeguamento provinciale - rimangono in vigore le disposizioni locali (ed in caso di mancato adeguamento lo Stato puo' impugnare nei sei mesi la legislazione provinciale). Inoltre, le funzioni amministrative in materia non possono poi essere attribuite o distribuite dallo Stato, essendo il compito riservato alla Provincia dall'articolo 16 Statuto e dalle norme di attuazione: le quali espressamente confermano che nelle materie di competenza spetta comunque alla Provincia trasferire ai Comuni del territorio - conformandole - le funzioni amministrative che leggi generali della Repubblica, nella restante parte del territorio nazionale, attribuiscano ai minori enti locali (cfr. l'articolo 15 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, di "estensione alla Regione Trentino - Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616"). La legislazione provinciale ha poi applicato il principio di sussidiarieta' ed adeguatezza conferendo le funzioni autorizzazione degli impianti alla stessa Provincia, mentre i comuni sono solo destinatari delle relative comunicazioni (articolo 36). Ovviamente, cosi' come le eventuali chiusure degli impianti devono essere disposte dalla Provincia, lo stesso vale per le ipotesi relative al divieto di rilascio di nuove autorizzazioni o per il rilascio di proroghe di autorizzazioni relative agli impianti incompatibili. E' dunque palesemente illegittima una normativa statale - quale quella introdotta dalla lettera c) del comma 4, dell'art. 17 qui impugnata - che direttamente impone ai comuni un divieto di rilasciare ulteriori autorizzazioni o proroghe di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili. Ne consegue che il comma 4 dell'articolo 28 del decreto-legge n. 98 del 2011, come modificato dalla lettera c) del comma 4 dell'articolo 17 del decreto legge n. l del 2012, nella parte in cui impone attivita' amministrativa ai comuni del territorio provinciale o limitazioni all'attivita' amministrativa, si pone in contrasto con l'articolo 9, n. 3), e con l'articolo 16 dello Statuto speciale, e con le correlative norme di attuazione, tra le quali il decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati) e il decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino - Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), che all'articolo 15 dispone che le funzioni amministrative che le leggi generali dello Stato conferiscono ai comuni debbono intendersi conferite anche ai comuni delle Province autonome, qualora non rientrino nelle materie di competenza provinciale e che al trasferimento ai comuni di funzioni amministrative rientranti nelle materie di competenza provinciale si provvede con legge provinciale. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 4. Il comma 4 dell'articolo 35 e' diretto ad assicurare al bilancio statale entrate pari a 235 milioni di euro annui a decorrere dal 2012, che ai sensi del comma 3 dell'articolo 35 devono essere destinate all'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali. Alla predetta finalita' si provvede, secondo il comma 4, con le maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali dagli incrementi delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica disposti dai decreti del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 30 dicembre 2011, concernenti l'aumento dell'accisa sull'energia elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa sull'energia elettrica; secondo il predetto comma 4 in relazione a tali maggiori entrate il concorso previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge n. 201/2011, e' incrementato di 235 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012 e la quota di maggior gettito pari a 6,4 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 derivante all'erario dai decreti di cui alla stessa disposizione resta acquisita al bilancio dello Stato. Il predetto comma 3 dell'articolo 28 del decreto-legge n. 201 del 2011, richiamato dalla norma in epigrafe - che, come avvertito in narrativa, e' stato gia' impugnato da questa Provincia autonoma - prevede un concorso alla finanza pubblica delle autonomie speciali e degli enti locali appartenenti a quelle che esercitano le funzioni in materia di finanza locale nella misura ivi indicata (rispettivamente 860 milioni di euro e 60 milioni di euro) da stabilirsi con le procedure previste dall'articolo 27, della legge n. 42 del 2009, a decorrere dall'anno 2012. E la stessa norma prevede che, fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, il predetto importo complessivo sia accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Il comma 4 dell'articolo 35, in quanto diretto ad ulteriormente incrementare il concorso delle autonomie speciali al risanamento della finanza pubblica, senza il preventivo e necessario momento di confronto e di intesa con lo Stato, appare illegittimo e lesivo per le stesse ragioni gia' evidenziate con riferimento e nei confronti dell'articolo 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011: si tratta, in definitiva, della stessa disposizione, che ora viene solo incrementata nella sua misura. Tuttavia, per rispetto del principio di completezza di ogni singolo ricorso, si rinnovano qui tali motivi, con l'avvertenza che essi riproducono quelli gia' proposti, salvo ora il riferimento specifico all'art. 35, comma 4: Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelli previsti dall'art. 14 di. 78/2010, dall'art. 20, co. 5, di. 98/2011 e dall'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011. In piu', viene disposto un taglio di risorse anche a carico degli enti locali situati nei territori delle autonomie speciali dotate di competenza in materia di finanza locale. Quest'ultimo taglio, in realta', incide in sostanza sempre sulla Provincia, come risulta dal terzo periodo del comma 3 e dall'art. 81, co. 2, St., che vincola la Provincia a finanziare adeguatamente i comuni (esso dispone infitti che "allo scopo di adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le province di Trento e di Bolzano corrispondono ai consumi stessi idonei mezzi finanziari, da concordare fra il Presidente della relativa Provincia ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni"). Comunque, in base alla giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a difendere davanti alla Corte anche l'autonomia finanziaria dei comuni (v. sentt. 298/2009, 278/10, punto 14.1, 169/2007, punto 3, 95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002). Tale sottrazione di risorse non ha alcuna base statutaria. Al contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal fondamentale art. 75, sono rivolte ad assicurare alla Provincia le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che la devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa. Per di piu', come gia' piu' volte ricordato, l'art. 79 dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo le quali le Province assolvono gli "obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali regole "possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 ", mentre "fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Ed il comma 4 ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta'... non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri di coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali, nel quadro della generale competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale prevista dall'art. 80 St. Nell'esercizio di tale competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art. 3 dispone tra l'altro che "in sede di definizione dell'accordo previsto dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono stabilite, oltre alla quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire il coordinamento della finanza comunale e quella provinciale, con particolare riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al patto di stabilita' interno. Con le disposizioni statutarie sopra ricordate l'impugnato art. 35, comma 4. si pone in insanabile conflitto. Le risorse spettanti alla Provincia non possono essere semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia stessa e gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica nei modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un regime speciale, che non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010. Non puo' ingannare il rinvio alle norme di attuazione dello Statuto. In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia' autonomamente lesivo, traducendosi in una sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al di fuori delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79. In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione, l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 104 St. e non in sede di attuazione. In terzo luogo, l'art. 35, co. 4, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione. l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione delle risorse e' operata direttamente e unilateralmente dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con il principio consensuale che domina i rapporti tra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate). In definitiva, come detto, l'art. 35, co. 4, viola l'art. 79 St., co. 1, 2, e 4, primo periodo, perche' i modi in cui la Provincia concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno concordati tra Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79. Il fatto che l'art. 35, comma 4, determini un incremento del fondo di cui all'art. 28, co. 3, fa si' che - ovviamente - anche per tale incremento valgano tutte le regole gia' contestate in relazione a tale disposizione. Tuttavia, poiche' la lesivita' e l'illegittimita' costituzionale di tali meccanismi non dipende in se' dal rinvio, ma dal contenuto della disposizione alla quale si rinvia, per questa parte non occorre formulare qui autonome censure, automaticamente operando quelle gia' proposte nel ricorso avverso l'art. 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Anche la nuova disposizione dell'art. 35, comma 4, stabilisce che "la quota di maggior gettito pari a 6,4 milioni annui a decorrere dal 2012 derivante all'Erario dai decreti di cui al presente comma resta acquisita al bilancio dello Stato". Trattasi della stessa disposizione gia' contestata in relazione al d.l. n. 201 del 2011, e dunque di disposizione che risulterebbe in ogni modo travolta, in quanto illegittimita' costituzionale consequenziale, dall'auspicata declaratoria di illegittimita' resa in relazione a tale decreto. In ogni modo, valgono anche in relazione alla disposizione ora citata le seguenti censure. L'art. 79 dello Statuto, che - come visto - definisce in modo preciso ed esaustivo le modalita' con cui le Province concorrono "all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (co. 1), e aggiunge che "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (co. 2), e che, "al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo" (co. 3). Sia il comma 3 (" Non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale") che il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. Proprio perche' agli artt. 75 e 79 St. si e' derogato con una fonte primaria "ordinaria" (in realta', un d.l. convertito), l'art. 35, comma 4, viola anche gli artt. 103 (che prevede il procedimento di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita' di modificare "le norme del titolo VI... con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province") e l'art. 107 (che disciplina la speciale procedura per l'adozione delle norme di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. In quanto connessa al disposto incremento delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa sull'energia elettrica, la disposizione che riserva allo Stato le maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali, viola altresi' l'articolo 70 dello Statuto speciale che devolve integralmente alle province autonome il provento dell'imposta erariale, riscossa nei rispettivi territori, sull'energia elettrica ivi consumata. Qualora la disposizione statale fosse da ricondursi alle ipotesi di riserva all'erario, in relazione ed in connessione agli effetti finanziari derivanti dall'aumento delle aliquote delle accise, la disposizione si pone altresi' in contrasto con la normativa di attuazione statutaria contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) che disciplina la riserva all'erario (articoli 9, 10 e 10-bis). Ne' e' infatti possibile sostenere che la norma censurata sia giustificata in virtu' del d. lgs. 268/1992. Essa, infatti, non rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d. lgs. 268/1992 per la riserva all'erario del "gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi". Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»; c) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". L'assenza di tali requisiti e' evidente nel caso della maggiorazione di aliquote dell'accisa sull'energia elettrica, dato che manca la destinazione a "nuove specifiche spese di carattere non continuativo", la delimitazione temporale e la contabilita' distinta, essendo la norma finalizzata, alla copertura degli oneri individuati nei co. 1 e 3 dell'art. 35 del d.l. n. 1 del 2012. Escluso che la norma possa trovare fondamento nell'art. 9 d. lgs. 268/1992, e' anche da escludere che essa possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto. In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e soppressa la somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, co. 1, St.), sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale l'art. 10 d. lgs. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, co. 6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due punti del comma 6) relativo alla determinazione della quota variabile, ora soppressa. Inoltre, l'art. 10, co. 6, prevedeva un meccanismo consensuale per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica" che e' stato ora sostituito da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo. Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale dell'art. 79, co. 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Qualora, in denegata ipotesi, non si ritenesse superato l'art. 10, co. 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il principio di leale collaborazione e, in particolare, il principio consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni speciali. In altre parole, anche venuto meno l'accordo per la determinazione della quota variabile, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare l'accordo con la Provincia di Trento, non potendo unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha riconosciuto che "la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione" della "speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti" (punto 6 del Diritto); e nella sent. n. 353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre per la determinazione delle spese), introdotto per la prima volta dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate, deve essere tendenzialmente preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato un atto ministeriale che aveva unilateralmente modificato l'elenco delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che "il legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65 Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente Regione". Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha giudicato di alcune norme legislative statali che disponevano la riserva a favore dell'erario delle entrate derivanti da altre disposizioni e che erano contestate per violazione dello Statuto siciliano e delle relative norme di attuazione. La Corte ha riconosciuto l'esistenza del "principio... di leale cooperazione fra Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la' dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari", e ha sottolineato che "sono espressioni significative di tale esigenza le norme di attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare le Regioni". La Corte ha, dunque, statuito che le norme impugnate dovevano prevedere "procedimenti non unilaterali, ma che contemplino una partecipazione della Regione direttamente interessata". Il principio consensuale e' stato ribadito piu' di recente, in relazione alla Provincia di Trento, dalla sent. 133/2010. La Provincia aveva impugnato l'art. 9bis, co. 5, d.l. 78/2009, che attribuiva al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di fissare «i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno 2009, dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi' compresi quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali». La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che tale norma incidesse sui rapporti finanziari intercorrenti tra lo Stato, la Regione e le Province autonome, e che "pertanto avrebbe dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato art. 104 dello statuto speciale, ove e' richiesto il necessario accordo preventivo di Stato e Regione". In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con una fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria.